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Il nome di Credazzo (da creda, ovvero creta, argilla) si deve alla caratteristica terra argillosa. Forse la sua origine va ricercata al tempo delle invasioni degli Ungari intorno al IX-X secolo. È verosimile che i costruttori del castello di Credazzo, come di altri della zona, siano stati i Collalto, cioè i Conti di Treviso. Il nome di Credazzo appare per la prima volta in un documento del 1233, ma in quel periodo le sue origini sono ormai lontane e la sua struttura si è già da tempo consolidata. Il castello si articolava in tre torri disposte nel senso nord-sud e congiunte da mura robuste sulle quali era possibile il passaggio delle sentinelle e della servitù. Esso corrispondeva quindi ad esigenze di signorile abitazione e di valida difesa. Dal 1233 è possibile seguire le vicende del castello e dei suoi signori. Nel 1243 vedeva la luce a Credazzo Guecellone VI da Camino, figlio di Tolberto II dei Caminesi di sotto simpatizzante di Ezzelino da Romano. Guecellone morì giovanissimo a Treviso nel 1272. Figlio di costui fu quel Tolberto II che prese come sposa Gaia, la figlia del «buon Gherardo», ricordata da Dante (Purg. XVI).La sua distruzione avvenne agli inizi del 1400 e fu segnata dagli Ungheri. Un esercito era guidato da un fiorentino, l’avventuriero Pippo degli Scolari, più noto come Pippo Spano, che, occupato il Friuli, puntò sulle terre oltre il Livenza. Nel 1413 fu per lui la volta buona per distruggere i castelli di Rai e Credazzo di proprietà dei Collalto, già da tempo legati alla Serenissima. Sui ruderi delle torri di Credazzo la famiglia Collalto non ebbe più alcun interesse a riedificare un castello che sarebbe forse servito più che altro a ricordare la potenza e la gloria dei Caminesi.
La chiesa viene citata per la prima volta nel 1210. In origine era una cappella castrense, che risultava dotata di cimitero, mentre dal 1442 venne unita alla chiesa di S. Stefano. Venne restaurata nel 1537 da mastro Zuane Cividal, come attesta l’iscrizione sul portale d’ingresso.
Di fondazione benedettina altomedievale, il cui massimo splendore si registra fra il XII e XVI secolo quando, i monaci Cistercensi prima e i Camaldolesi poi, vi avviarono la lavorazione dei pannilani. Lo splendido chiostro, di età precedente alla basilica e perfettamente conservato nell’elegante effetto di movimento creato dalle colonne che lo costituiscono, fu portato a termine nel 1268, quando i monaci cistercensi si insediarono nel monastero.
Vi si accede in 5 minuti direttamente a piedi dalla nostra cantina. Si erge sul colle detto del Castello sulla riva destra del torrente Raboso. Eretto poco dopo il mille all’interno dell’antico Castello (di cui oggi non è rimasta quasi più traccia), fu la prima parrocchiale di Col San Martino e venne distrutta durante la prima guerra mondiale. Venne poi ricostruita a pianta ottagonale nel 1927 in stile neogotico. Sentitissimo in queste zone il culto del Santo di Tours: nel ricordo del miracolo secondo cui il Santo avrebbe resuscitato un bambino morto dopo la nascita e riconsegnato vivo alla madre, molte coppie che giungono anche da molto lontano vi si raccomandano e pescano dall’urna posta all’interno della chiesa il nome da dare al futuro nascituro ponendolo così sotto la protezione del Santo. Da qui la vista, pur sempre suggestiva, si rivolge verso ovest.
Suggestivo è il piccolo oratorio di San Vigilio. Vi si accede con una breve passeggiata (tra i 15 e 20 minuti) direttamente a piedi dalla nostra cantina. In stile romanico, è stata edificata tra l’XI e il XII secolo. Nel XV secolo venne abbellita con degli affreschi. Tre sono ancora visibili sulla parete destra. La Madonna con Gesù e San Nicola Benedicente (il più antico), San Giorgio e il drago e San Bonaventura con San Bernardino e sulla controfacciata San Floriano a Cavallo (o forse San Bovo, simbolo della civiltà contadina). Sono tutti attribuiti ad un pittore del Nord Europa detto Giovanni di Francia. Prima della Grande Guerra sopra l’altare vi era una pala raffigurante San Vigilio, a destra quella di San Antonio Abate e a sinistra quella di San Eustachio (protettore dei cacciatori). Attualmente sono state sostituite da un altorilievo sempre raffigurante San Vigilio (opera di uno scultore della Val Gardena), da una tela rappresentante San Antonio Abate del pittore Cima di Villa a destra e da un dipinto rappresentante San Giuseppe osservato da Maria e Gesù di G. Modolo a sinistra. Il pavimento è in cotto, a tavelle rettangolari poste a spina di pesce. Dal giardino adiacente si gode di una splendida vista panoramica a 180° che spazia da est ad ovest sul paese di Col San Martino e su tutto il quartier del Piave.